Don Sebastiano Plutino, sacerdote della Congregazione Piccola Opera della Divina Provvidenza – don Orione, è nato a Gallina (Reggio Calabria) l’8 agosto 1908.
Si racconta che quando nacque suonarono improvvisamente le campane e la levatrice disse alla madre: “Certo questo bambino dovrà avere qualcosa di eccezionale”.
Durante il terremoto del dicembre 1908, Sebastiano di pochi mesi, era in braccio a sua madre quando, cadendo una parte di intonaco, lei lo abbracciò per ripararlo e si ferì ad una mano rimanendone per sempre impedita.
Sebastiano, primo di quattro figli, fin da bambino, sentiva una “spinta missionaria” che gli orizzonti sconfinati di quell’angolo di mare che osservava dalla sua terra (contrada di Aretina, sulle colline che dominano lo stretto della Calabria) rendevano ogni giorno più imperiosa e sollecita.
Accompagnava a piedi la mamma alle quattro del mattino alla Messa nella Chiesa Parrocchiale distante oltre cinque chilometri .” La sua intraprendenza e la sua audacia erano per la nostra famiglia una garanzia ed un sostegno”, diceva il fratello Demetrio e la lontananza del padre, emigrato in America, era alleggerita dalla sicurezza e dal sostegno di Sebastiano, che coltivò nel silenzio il segreto della sua vocazione.
Sappiamo solo che quando decise di partire per Tortona, in provincia di Alessandria, per entrare nell’Opera don Orione, aveva 19 anni, era il 20 novembre 1927 e sul marciapiede della stazione di Reggio Calabria lo sguardo di sua madre lo penetrò in un modo talmente forte, che lo ha ricordato per tutta la vita: pieno d’amore, ma anche di tanta sofferenza. Donava generosamente a Dio quel figlio che rappresentava il grande sostegno. Il senso ed il valore della famiglia rimasero sempre fondamento e baluardo di una vita che cercherà sempre in essa i punti di riferimento sicuro e di garanzia.
Partì dalla Calabria con altri tre compagni e giunse a Tortona, al “Paterno”, la casa madre della giovane Congregazione dei “Figli della Divina Provvidenza” (don Orione). Il gelo tortonese non si addiceva certo all’abbigliamento povero e usuale dei paesi del sud. Giunsero perciò infreddoliti e disorientati, e li fecero entrare nel refettorio per mangiare subito qualcosa di caldo. Dopo poco un prete, ancora giovane, portò la minestra e li servì. Era una minestra calda, ma non bastava. Sebastiano non ce la fece più, preso dall’ansia di scoprire l’orientamento definitivo della sua vita, e alzando gli occhi verso quel prete gli chiese con fare imperioso: “Ma noi vogliamo vedere don Orione!”. “Sono io” rispose quel prete. In quell’attimo pensiamo si sia acquietato per sempre quell’animo irruente giovanile che aveva sentito parlare di quel prete e che in lui rivedeva tracciata la sua strada verso Dio.
Cominciò così il suo itinerario di religioso orionino, sotto lo sguardo vigile di don Orione che seppe fargli superare con gioia e passione le molte difficoltà e sofferenze. Finalmente il 21 dicembre del 1940, nella Basilica di San Marco a Venezia fu consacrato sacerdote per sempre.
Fu nominato assistente agli “Artigianelli” di Venezia, studiò, ma soprattutto mantenne sempre viva una spiritualità missionaria che si faceva servizio umile e silenzioso ai fratelli più bisognosi. A Venezia quelle terre lontane che fin da bambino lui sognava, erano vicine a lui, su quelle navi che approdavano in quel porto per ripartire dopo qualche giorno. Iniziò così il suo impegno apostolico con i marinai. Non era fatto di prediche, ma soprattutto di condivisione, di ascolto, del farsi umile servo dei naviganti.
Iniziò forse così, in modo informale, ad accogliere quanto di più segreto c’è nel cuore degli uomini e quando fu costretto a lasciare Venezia per andare a Foggia questo modo di condividere i problemi degli uomini lo portò a lunghe ore di confessionale.
Nel 1948 fu trasferito a Roma, nella Parrocchia di Ognissanti, dove la forza della sua attività pastorale continuò ad essere il confessionale. Da quel confessionale, Dio gli mostrò il nuovo cammino apostolico che, attraverso impervie strade, lo dovevano immergere in una delle realtà sociali più umili ed emarginate confondendo la sua storia di sacerdote religioso con la storia degli umili, dei poveri aggregati in un movimento, il Movimento Tra Noi.
Le sue condizioni di salute avevano impedito il suo partire per terre lontane, ma avevano reso sempre più sensibile e urgente la sua ansia missionaria, che andava sempre più realizzando con immigrati dalle regioni italiane e, negli ultimi anni, con gli immigrati provenienti da tutti i Paesi del mondo. Non era stato lui ad “andare in missione”, ma le donne e gli uomini della missione erano giunti da lui.
È rimasta nel mistero la sofferenza della sua rinuncia “missionaria”; mistero che si è fatto però eloquente nella sua passione sacerdotale dell’offerta quotidiana nel sacrificio eucaristico. In quella offerta che segnava anche il suo ultimo respiro terreno l’11 maggio del 2001, avvenuto all’offertorio della Messa celebrata per gli agonizzanti da don Giovanni D’Ercole, nella stanza accanto alla sua.
Era il sigillo di una vita sacerdotale totalmente spesa al servizio di Cristo nei fratelli, nell’umile offerta che solo un cuore che ama può costantemente proporre.
La forza della Fondazione Fra Noi e il segreto della sua lunga vita sono da cercare nella comunità che Don Plutino ha saputo costruire intorno a sé.
Un gruppo di Donne e Uomini legati dal desiderio di aiutare gli ultimi e i bisognosi, promuovendone la dignità umana e cristiana.
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